Il jazz (non) esiste: alle origini del contemporaneo

L’undicesima stagione delle Lezioni di jazz di Stefano Zenni è un viaggio nel jazz contemporaneo. O meglio, è una ricognizione dei mutamenti di linguaggi e stili, delle ibridazioni tra generi e del contribuito dei grandi musicisti alla base delle trasformazioni del jazz degli ultimi anni. Una mappa per comprendere da dove proviene la musica contemporanea, per orientarsi tra la tante declinazioni del nuovo jazz globale.

 

19 GENNAIO – TRASFORMARE LA FORMA: DA ANTHONY BRAXTON A STEVE LEHMAN
Dalla fine degli anni Sessanta i musicisti dell’AACM – da Anthony Braxton a Muhal Richard Abrams, dall’Art Ensemble of Chicago a Henry Threadgill – hanno introdotto una serie d’innovazione nella scrittura, nell’ improvvisazione e nella forma che hanno definitivamente cambiato il volto del jazz, e sul cui solco si muovono alcuni dei musicisti più avventurosi del presente.

2 FEBBRAIO – SI CAMBIA RITMO: TIM BERNE, STEVE COLEMAN, VIJAY IYER
Nella Brooklyn degli anni Ottanta l’incontra tra il jazz, l’hip hop, l’avanguardia degli anni Sessanta e il rock ha innescato una irreversibile trasformazione del ritmo jazz: lo swing tradizionale viene soppiantato da groove di grande complessità, dal metro indecifrabile, frammentato ma trascinante e carico di energia, che trasforma anche la base del jazz: non più armonie su cui improvvisare, ma intrecci di linee serpentine e spigolose.

9 FEBBRAIO – RADICALI LIBERI A MANHATTAN: JOHN ZORN & CO.
È un manifesto quello che stilano Marc Ribot e John Zorn a downtown a New York: proclamano una “radical Jewish culture” in cui la tradizione musicale ebraica si fa forza trainante esplicita del nuovo jazz. È musica che abbatte ogni muro: punk, rock, noise, cinema, cartoon, improvvisazione radicale, hard bop, folklore, sperimentazione classica vengono frullati in una disinvolta maionese postmoderna.

16 MARZO – VECCHI STANDARD, NUOVI CLASSICI: DA MOTIAN A MELHDAU
Il jazz, quello classico, non è mai morto. Anzi, si è rinnovato nel repertorio, nel rapporto affettuoso con il passato, nella ricerca di sonorità raffinate, nell’allargamento del linguaggio melodico e ritmico. La tradizione è una fonte della giovinezza sempre fresca, che in Paul Motian, Keith Jarrett, Brad Mehldau, Wayne Shorter, Kurt Elling ispira la trasformazione del passato in una voce contemporanea.

23 MARZO – SCRATCHING THE SWING: L’INCONTRO CON L’HIP HOP
A lungo si sono guardati in cagnesco: il jazz considerato musica borghese ed elitaria, l’hip hop una volgarità sottoproletaria. C’è voluto del tempo perché i due mondi trovassero il modo di parlarsi, grazie a produttori come J Dilla o musicisti come Herbie Hancock. Oggi la trap è parte del bagaglio del jazz, la cui forma viene plasmata dall’esperienza del sampling.

30 MARZO – VOYAGER: I SOGNI ELETTRONICI TRA USA ED EUROPA
L’elettronica ha sfidato i più radicati principi estetici e ideologici sel jazz: l’autenticità dell’espressione, il valore del suono acustico individuale, il virtuosismo tecnico frutto di un duro apprendistato, il dialogo tra corpi organici. Seppure in modo episodico, l’elettronica si è faticosamente ritagliata degli spazi nel jazz, ma dagli anni Novanta si è infine affermata quale strumento legittimo della scena contemporanea, aprendo le porte a nuove, affascinanti ibridazioni stilistiche, davvero molto jazz.

13 APRILE – OSTINATO ASSAI: IL JAZZ NEL VILLAGGIO GLOBALE
Nel silenzio attacca il basso che delinea una figura ripetuta; oppure, da una improvvisazione collettiva emerge una melodia reiterata su cui si àncora l’improvvisazione. È l’ostinato, una linea breve, tenuta fissa mentre introno tutto si muove. Oggi è una delle forme più solide del jazz, dimostrandosi chave di volta che apre l’accesso alle tradizioni globalizzate della musica contemporanea